Diventare una donna Bondo

 

      Renata décembre 2011 205

 

L’incontro con le donne Bondo avvenuto durante il mio primo viaggio a Masanga nel settembre 2010 mi aveva lasciato un profondo segno…il desiderio di reincontrarle e di accettare quel loro invito a diventare una Bondo. Intuivo una forza, un coinvolgimento, un riconoscimento  e una gioia di condividere che mi ha riportata a Masanga insieme a Janny per partecipare alla terza cerimonia Bondo “new style”  promossa con il sostegno dell’Associazione MEA ma soprattutto sostenuta e voluta fortemente da Ya Ramatu Fornah e da Michèle, due donne Bondo speciali e meravigliose.Renata-decembre-2011-129.jpg

 

L’arrivo a Masanga questa volta è stato emozionante perché la familiarità nel riabbracciare le donne e le bambine già conosciute e rivedere questi luoghi mi ha fatto godere come una bimba ad una festa di compleanno, dell’atmosfera di gioia e di festa che c’era in tutto il villaggio.

Domenica sera è arrivata ed io mi avvicinavo al momento in cui mi sarei dovuto affidare, lasciare andare totalmente ed entrare nel loro mondo. Per me una Poto occidentale senza alcun genere di esperienza simile a questa era davvero fare un salto in una nuova dimensione.

Michèle ha illustrato i vari momenti della settimana di preparazione alla cerimonia così vorrei condividere la parte emozionale che ho vissuto nel trascorrere per 7 giorni consecutivi e 24 ore su 24 con donne e bambine  che parlavano una lingua a me sconosciuta.

La prima notte dopo essere entrata per prima nella casa Bondo l’ho trascorsa in una piccola stanza buia circondata da donne e bambine cercando di dormire mentre all’esterno le Sampa suonavano i loro tamburi e cantavano all’infinito, come dei mantra, i canti Bondo. Ed ecco le  mie paure farsi avanti: senso di claustrofobia, bisogno di spazio, di aria, mi sentivo imprigionata, costretta a restare in uno spazio per me troppo piccolo…ma non si torna indietro. Ascoltavo la musica che proveniva dall’esterno ed osservavo nell’oscurità questa moltitudine di donne e bambine rannicchiare a terra una  sull’altra che dormivano.

 

Pur nella difficoltà di non conoscere la loro lingua il Temene, queste donne meravigliose si prendevano cura di me come facevano con le bambine cercando di insegnarmi tutta la loro tradizione ma comprendendo la mia diversità, facendosi carico di molte piccole attenzioni per facilitarmi l’esperienza, ma anche mettendomi alla prova e sollecitandomi con energia nel partecipare ai loro canti e alle loro danze.

La relazione con queste donne incredibili è stata intensa e profonda toccando tante emozioni dai colori e sfumature diverse: dalla frustrazione che provavo quando non capivo quello che mi dicevano o alle loro continue richieste di ripetere una  canzone o un passo di danza  e mi sentivo proprio come una bambina costretta a subire l’autorità della maestra. Poi però arrivava la gioia e soddisfazione nel riuscire a ballare e cantare a ritmo e insieme sentendomi a mio agio con le sonorità di questa nuova lingua.

MEA-decembre-2011-012.jpgA volte mi sentivo come un piccolo animaletto da zoo, oggetto della loro curiosità  che inevitabilmente la mia presenza di Potò (nome per definire i bianchi) provocava. Ecco che un susseguirsi di donne, giovani e meno giovani, bambine e ragazzine venivano a trovarci dal villaggio e si stavano li tranquillamente ad osservare, studiare, scrutare quello che facevo e soprattutto come lo facevo. Il bello di questo è che tutto avveniva senza alcun senso di imbarazzo da ambo le parti. Tutto era diretto, semplice, manifesto e quindi naturale e spontaneo.

 

 

 

 

Ricordo il piacere delle giovani donne che conoscendo l’inglese con perseveranza mi spiegavano il significato dei loro canti e me li facevano ripetere fino a che non riuscivo nell’obiettivo.

Ricordo con infinito e profondo senso di pienezza e libertà i miei tentativi di imitare le movenze del bacino, del dorso e del ritmo del battito delle mani che le bambine instancabilmente con gioia e allegria mi coinvolgevano in questo gioco fatto di danze e canti.

A volte mi riscoprivo ad osservare queste donne prendersi cura di queste bambine, coprirle il capo, lavarle, o mentre le spalmavano il corpo di crema (vasellina), o mentre le preparavano per la notte, o quando accendevano i fuochi la mattina nel bosco…il tutto con una gestualità semplice, essenziale e la stessa gestualità la trovavo nelle piccole donne bambine di 7/8 anni che si prendevano cura delle più piccole, con la stessa naturalezza e spontaneità…. Mi affioravano i racconti di mia mamma e delle nonne, della loro storia ed infanzia e… sentivo così chiara dentro di me la sensazione di appartenenza a questo mondo che scorreva con il ritmo della natura, dell’energia della terra, della luce, del giorno e della notte e così la nostra presenza seguiva questo movimento.

 

Mi soffermavo a volte ad osservare queste forti donne, le Sampa e le Sowé che insieme a Ya Ramatu Fornah conducevano i vari momenti e rituali dell’iniziazione che avrebbe permesso a 58 bambine e due Poto il passaggio e l’ingresso nel clan della donne Bondo senza subire il rituale della mutilazione e questo mi commuoveva profondamente.

 

Renata décembre 2011 081-copie-1

 

 

Lo sguardo intenso di Ya Ramatu e la sua testimonianza, la sua presenza, la sua forza e profonda onestà così chiara, vera e profonda cha va al di la di qualsiasi parola detta o scritta mi fa provare una gran senso di gratitudine per avermi accolta e donato questo  incontro e l’abbraccio con le donne Bondo.  Sono Chèma Ruko! Fino!!!! Bondo, fino!!!

 

 

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